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Riteniamo significativo dedicare qualche riflessione alla figura del dramaturg: in nessuno degli spettacoli classificati è segnalata la presenza di questi professionisti della scena, per quanto si stia sviluppando un interesse sempre più accentuato nei loro confronti. Se la cosiddetta dramaturgie viene concepita a partire da Lessing, secondo l'attenta analisi svolta da Claudio Meldolesi ne Il lavoro del dramaturg - Nel teatro dei testi con le ruote (2007), il riconoscimento di tale pratica teatrale stenta ad affermarsi all'interno del contesto italiano, certamente a lungo dominato dal teatro di regia. Suggerendo in particolare questo studio per l'approfondimento della questione, preferiamo soffermarci qui sulla possibilità che un approfondimento del ruolo svolto dal dramaturg possa aprire possibilità interessanti nella comprensione delle interazioni tra il testo - o i testi, di cui uno altamente canonizzato, come in molti dei casi classificati – e la scena nel teatro contemporaneo.

Renata Molinari, nel complesso degli spettacoli classificati, collabora con Giorgio Barbiero Corsetti all'adattamento e alla drammaturgia de La dodicesima notte (1994); nella seconda parte dello studio scritto con Meldolesi, si sofferma sulla situazione italiana, partendo dalla propria esperienza, per poi presentare, sempre in prima persona, una serie di casi specifici di lavoro sul testo. Il dramaturg - da quanto emerge dalle sue riflessioni - non si pone in una posizione tradizionalista e testocentrica all'interno dell'orizzonte teatrale contemporaneo, ma, anzi, mette a frutto riflessioni e sviluppi della ricerca teatrale. Fondamentale risulta ad esempio il lavoro di training, chiara conquista dei movimenti teatrali, e non solo, degli anni '70, grazie al quale l'attore lavora sul testo senza il preciso fine dello spettacolo, moltiplicando «i punti di contatto, le possibilità di sviluppo, le storie interne, prima di arrivare a scegliere la propria chiave di interpretazione, prima di individuare, nel testo, la ragione che ci fa scegliere quella strada, quella storia, rispetto alle decine di soluzioni possibili» (p. 208). E proprio da quella stagione teatrale, attraversata direttamente da Molinari, nasce una riflessione in merito al cosiddetto “ritorno al testo”, che si distanzia da un'interpretazione reazionaria, evidenziando il tracciato di un percorso ibrido: a partire da un periodo in cui «dire (e fare) teatro significava non pensare ai testi, agli autori, ma ai soggetti della scena: al corpo, alla sua memoria arcaica e individuale, ai suoi riflessi nella società che lo accoglieva e rigenerava» (p. 173), si approda a «uno specifico lavoro sul testo e sulla letteratura», ma «era stata questa stessa ricerca dell'attore a porre le condizioni per un nuovo approccio al testo o al lavoro drammaturgico basato su più fonti» (p. 193).

Il dramaturg può dunque essere, nel nostro caso, colui che restituisce l'esperienza di un testo altro e altrui, ponendolo in relazione con lo spazio, il tempo, il movimento, isolandone dapprima i singoli nuclei di senso e d'azione, proponendo poi una nuova, possibile «struttura drammaturgica» (p. 205):

È il bello del teatro (…) tutto quello che nasce da te, esiste solo in quanto un altro gli dà corpo e forma. Questo è particolarmente vero per il dramaturg, che non racconterà mai in prima persona, ma sempre attraverso il racconto - e la scrittura - di un altro. (p. 220)

Dramaturg è colui che adatta, riduce e traduce, e poi scrive e ri-scrive quella che Molinari chiama «scrittura derivata […] da un testo, da un tema dato, da un'esperienza evocata» (p. 199), in grado di generare uno scambio fecondo tra composizione drammaturgica e scena. È una figura che funziona come anello di congiunzione, in grado di «rendere visibili i contatti reali fra lavoro d'attore e progetto di regia» (p. 175); la sua presenza segna il passaggio dalla “drammaturgia esposta” della pratica autopedagogica, sperimentata nei gruppi teatrali degli anni '70, alla “drammaturgia dell'esperienza”, fondata sulla ricerca di una relazione tra opera e ascolto del presente, della scena. Infatti, per citare Renato Gabrielli, altro dramaturg italiano, questa volta di formazione tedesca, «l'arte teatrale, pur attingendo a una millenaria tradizione sia scritta sia orale, si svolge nel tempo presente, rinnovandosi a ogni rappresentazione nel rapporto “dal vivo” tra attori e pubblico» ( Scrivere per il teatro, p. 98). Ed è proprio nella delicata fase in cui si acquisisce consapevolezza di questa collocazione nel reale che il dramaturg assume l'identità relazionale che lo contraddistingue:

Il dramaturg, in definitiva, innesca dei cortocircuiti fra i soggetti del teatro; in una sorta di circolarità che moltiplica le storie, i loro destinatari e portatori nel sistema delle presenze teatrali, dilata le relazioni per individuare, come in una trama al microscopio, i punti di forza e di fragilità del testo. Agisce il testo, aprendolo davanti e in funzione dei suoi interpreti (…) Nel lavoro con il regista, invece, il dramaturg tende ad accelerare e comprimere la trama, per pilotare a più omogenei tempi di reazione tra percezione e comprensione. ( Il lavoro del dramaturg, p. 184)

Una figura significativa, dunque, per comprendere il potenziale sprigionarsi di energia creativa nell'incontro con testi che sono materia viva e immanente alla composizione teatrale, in contesti non assimilabili tra loro, all'interno di percorsi tradizionali così come fortemente innovativi.

Concludiamo facendo riferimento ad un caso specifico, che non rientra nella classificazione perché più recente, di lavoro del dramaturg in ambito shakespeariano, utile come esempio pratico. Renato Gabrielli collabora infatti in questa veste al Giulio Cesare, con regia di Carmelo Rifici, andato in scena al Piccolo Teatro di Milano nel 2012. A partire da un disegno registico già concepito viene elaborata una partitura che, pur mantenendo circa al novanta per cento il testo nella traduzione di Agostino Lombardo, interviene in modo deciso con interventi finalizzati ad una resa più fluida e dicibile da parte degli attori o tali da rappresentare “spazi di libertà” rispetto al materiale di partenza, il tutto in linea con una precisa costruzione dello spazio scenico; in particolare, l'introduzione di didascalie e la modifica di alcune battute attribuiscono rilievo a figure secondarie, mentre descrizioni asettiche e dettagliate vengono preferite all'azione, cosicché la violenza non risulti mai palese, ma si alimenti negli incubi e nelle visioni di un mondo rarefatto e claustrofobico, abitato da poteri ben meno visibili di quelli immaginati da Shakespeare.

Riferimenti bibliografici

R. Gabrielli, Scrivere per il teatro, in io.scrivo Corso di scrittura del «Corriere della Sera», n. 17, Milano, RCS Libri – RCS Quotidiani, 2011, pp. 90-119.

C. Meldolesi, R. Molinari, Il lavoro del dramaturg - Nel teatro dei testi con le ruote, Milano, ubulibri, 2007.

  • Di: Beatrice Montorfano Referente scientifico: Sara Soncini |
  • DOI: 10.12871/shakespeare01 |
  • Sottoposto a peer-review |
  • Published: 30/09/2016 |
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