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Tipologia di adattamento - La relazione con Shakespeare

Per indagare i materiali raccolti secondo il criterio della posizione assunta dagli artisti contemporanei rispetto a William Shakespeare, si è scelto di passare in rassegna i dati estrapolati dalla consultazione del Patalogo e di stabilire possibili classificazioni a partire dalle pratiche individuate e dalla modalità di presentazione delle stesse; queste sono da ritenersi dovute alla volontà degli autori e produttori dei vari spettacoli, dal momento che non si registra una costanza nella selezione e strutturazione dei dati da parte dell'annuario. Rilevare e sottolineare alcune tendenze specifiche nella relazione con Shakespeare può infatti rendere più chiara la fenomenologia della sua presenza all'interno della scena contemporanea italiana.

Le ricerche teoriche svolte in merito alla questione non sono state tralasciate, ma la decisione di partire dal “campo” si è resa necessaria di fronte alla vastità e alla complessità di quanto registrato, eccedente sempre e comunque le categorie interpretative che anche qui gli sovrapporremo e che sono però pensate come contenitori aperti e mobili, utili più per favorire l'elaborazione di possibili intersezioni dialogiche che non per costringere entro l'univocità della definizione. Qui di seguito andremo ad illustrare le scelte effettuate, evidenziando in particolare l'ambiguità della dimensione testuale nel quadro della scena contemporanea.

In primo luogo, non sempre è esplicitamente comunicata la tipologia di intervento svolta in relazione al testo shakespeariano, e l'indicazione riguarda solo l'effettiva presenza in campo dell'autore inglese; in questi casi, la scelta è ricaduta sulla divisione tra spettacoli tratti “ da William Shakespeare” (o da una o più opere) o presentati come “di William Shakespeare”. Se nel primo caso è possibile rinvenire una rivendicazione di autonomia nei confronti di opere oggetto di citazione, ma da cui le distanze vengono prese e segnalate - se pur in forme non tratteggiate con precisione -, nel secondo la paternità è fatta risalire all'autorevole e legittimante aura shakespeariana, e non è un caso che spesso gli spettacoli siano prodotti da teatri stabili e compagnie tradizionali.

Un'ulteriore - ridotta - sezione è riservata ai così detti “Shakespeare d'autore”, riscritture ad opera di autori riconosciuti, ormai canonizzate all'interno della nebulosa shakespeariana al punto da essere scelte come punto di riferimento per una produzione terza. Non sono state incluse qui quelle che oggi potremmo definire riscritture (sceniche o drammaturgiche) “d'autore”, ma che sono state messe in scena direttamente da chi le ha ideate: abbiamo preferito inserirle nelle diverse altre categorie, dal momento che esse si differenziano dai casi in cui la rielaborazione d'autore rappresenta un'ulteriore mediazione in vista della fase spettacolare-performativa. Non ci sarà dunque Hamlet Suite di Carmelo Bene del 1994, con regia dello stesso, e troveremo invece L'Ambleto nella versione di Giovanni Testori, della Compagnia Lombardi-Tiezzi (2001).

“Adattamenti e rielaborazioni” raggruppa invece produzioni per le quali è resa esplicita un'operazione riconosciuta nel mondo teatrale come forma di avvicinamento - comunque indefinita al punto da lasciare notevoli libertà di movimento - tra il testo scritto e la scena, contemporanea e dunque calata nell'attualità.

In ambito shakespeariano, lo statuto delle produzioni nate da un attraversamento esplicito e riconosciuto dell'opera nella contemporaneità rimane al centro di una questione aperta, data l'importanza dell'autore in esame e il grande numero di elaborazioni culturali sviluppate in tutto il mondo. Margaret Kidnie, nell'introdurre il suo Shakespeare and the Problem of Adaptation (2009), parla di adattamento teatrale in un'ottica che prescinda da categorie fisse come quelle di testo originale e di testo derivato, mettendo in discussione l'idea che la categoria di adaptation riguardi solo la performance, o che questa sia più malleabile rispetto al testo. Presa di posizione significativa, che tende a superare la tensione tra un testo immobile e una scena votata alla trasformazione, ponendo al centro la relazione con il work - «the play as process» - di Shakespeare, laddove l'adattamento è stato per lungo tempo posto in contraddizione con l'appropriazione, quasi si trattasse di una semplice attualizzazione priva di connotazioni particolari in merito alle definizione della paternità dell'opera.

Thomas Cartelli, ad esempio, nella sua introduzione a Repositioning Shakespeare (1999), aveva per l'appunto sottolineato tale differenziazione: «I would begin by claiming that as a selectively predatory act, appropriation, unlike adaptation, does not seek to reproduce in any faithful or sustained way what it “abducts” from its objective» (p. 17). Distinzione un po' eccessiva, quanto meno nell'applicazione al territorio teatrale italiano, dove di rado le differenziazioni terminologiche trovano corrispondenza stringente nelle operazioni compiute, ma che anche Douglas Lanier (Shakespearean Rizomatics: Adaptation, Ethics, Value, 2014), nella ricerca di una descrizione innovativa del fenomeno, considera costitutiva della recente tradizione di studi shakespeariani sul tema:

Nonostante una quantità smisurata di studi recenti intorno all'adattamento di Shakespeare, siamo stati lenti nell'assorbire le sue conseguenze per il campo degli studi shakespeariani nel suo complesso. Troppi di questi studi ancora partono dalla convinzione che gli adattamenti dovrebbero essere letti in rapporto all' “originale”, che essi siano integrativi o dipendenti rispetto al “vero” Shakespeare, e che l'obiettivo della critica sia collocarli in relazione alla fonte originaria, che si colloca al di fuori di essi.

(…)

Il paradigma dell' “appropriazione”, che trova le sue radici in un'analisi operata dal materialismo culturale e in definitiva marxista, esercita un'enorme influenza nel campo (dell'adattamento shakespeariano, nda), essendo divenuto espressione privilegiata in quest'ambito.

(…)

A differenza dell'adattamento, l'appropriazione non opera meramente sul testo di Shakespeare, ma anche sull'autorità culturale legata a tale testo e sul capitale culturale da esso accumulato .

(pp. 23-24. Le traduzioni, qui e a seguire, sono mie)

Si parla dunque generalmente di adattamento come di una forma di riedizione debitrice verso un “originale” esemplare, il cui «capitale culturale» non sarebbe contestato perché generalmente assunto come dato scontato e incontrovertibile, a differenza invece di quanto accadrebbe nell'ambito dell'appropriazione.

In Italia, e nei casi presi in esame qui, sarebbe però un errore pensare di ritrovare nella sezione dedicata agli adattamenti un filrouge che ci riconduca a un teatro maggiormente legato alla tradizione, dal momento che vi ritroviamo le produzioni di uno dei maggiori rappresentanti del teatro di ricerca italiano negli ultimi anni, Antonio Latella, come ICO NO CLAST. A Punk Twist on Hamlet, della Compagnia Krypton, incentrata sull'accostamento tra la vita di Sid Vicious e il Macbeth.
Occorre dunque puntualizzare che l'adattamento, come altre forme di posizionamento che espliciteremo a seguire, non è da leggersi necessariamente come una forma di accettazione o pura attualizzazione dell'opera “originale”: esso non ricopre solo il ruolo di mezzo di avvicinamento al mistero nascosto in Shakespeare, ma può essere dotato di un'autonomia che non esclude il dialogo con altri testi, scenici, letterari e non solo. Il già citato Lanier fornisce in quest'ottica una prospettiva interessante, mettendo in campo la nozione di rizoma, come elaborata da Deleuze e Guattari:

Come dunque riconcettualizzare l'adattamento shakespeariano nell'ambito della “post-fidelity”? Una strada potrebbe essere ripensare l'oggetto che definisce il nostro campo di ricerca, spostarlo da Shakespeare il testo a “Shakespeare” l'adattamento - cioè la rete delle forze culturali e delle produzioni che in qualche modo reclamano l'etichetta di “shakespeariane”, ma hanno da tempo ecceduto il canone dei testi teatrali e poetici che siamo giunti a attribuire alla penna di William Shakespeare. Il concetto di “rizoma”, elaborato da Gilles Deleuze e Félix Guattari, può fornirci un modello per concettualizzare questa tipologia di adattamento.

(…)

Una concezione rizomatica di Shakespeare non colloca affatto la “sua” autorità culturale nel testo shakespeariano, ma nel potere accumulato dall'adattamento shakespeariano, nelle molteplici e mutevoli linee di forza che noi e chi ci ha preceduto abbiamo catalogato come “Shakespeare”, linee di forza che sono state create da contingenze storiche e che ad esse rispondono.

(pp. 27-29)

Un impianto teorico complessivo di questo genere appare certamente centrale, anche nei casi in cui si decida di considerare un caso particolare, come quello della galassia teatrale italiana nell'arco di trent'anni. Per questo motivo, si invita ancora una volta a leggere la classificazione qui proposta come un semplice tentativo di indagine, che tenga conto contemporaneamente della produzione scenica, delle motivazioni - artistiche, strutturali e commerciali - che la influenzano, dello stato presente degli studi teorici.

Proprio sulla base di queste osservazioni si è riscontrata una difficoltà notevole nel classificare le forme spettacolari che non si basano su un'elaborazione del testo definita come “adattamento”, e non solo per la mancanza di un termine univoco di identificazione. Nel teatro contemporaneo, infatti, si osserva una notevole presenza di scrittura scenica, pratica che non esclude in toto la presenza di un testo pre-scritto ma che attribuisce importanza all'elaborazione dello spettacolo nella sua completezza e all'interazione contemporanea di più linguaggi; d'altra parte, non mancano casi in cui risulti ancora evidente e rimarcata una suddivisione dei ruoli che rende maggiormente esplicita l'operazione compiuta sulla partitura drammaturgica.

Abbiamo dunque deciso di includere nella sezione “Riscritture drammaturgiche” le produzioni per le quali esiste un'indicazione puntuale sulla presenza di un nuovo testo scritto, eludendo per il momento l'ulteriore questione della differenziazione tra “testo” e “drammaturgia”, dove con il primo termine si definisce un canovaccio, una sinossi, un racconto, e non il testo teatrale. “Nuovi autori per un nuovo spettacolo” comprende invece le produzioni che prevedono una fondamentale e non meglio dettagliata rivendicazione di paternità, dunque l'attribuzione dello spettacolo nella sua interezza a uno o più autori.

Anche in questo secondo caso, non mancano i problemi di interpretazione: come considerare infatti gli spettacoli in cui non viene fatta menzione né di una specifica azione testuale né di in un autore, ma che sono evidentemente riconducibili a Shakespeare? Occorre assimilare l' “ideazione” dello spettacolo alla paternità? E, soprattutto, come comportarsi laddove la sola informazione fornita riguarda la figura per eccellenza del teatro italiano, quella del regista?

Per affrontare una questione così intricata, occorre in primo luogo evidenziare nuovamente che l'obiettivo riguarda qui l'individuazione di fenomeni diffusi nella relazione con Shakespeare tali da rendere più chiare le modalità della sua presenza all'interno della scena contemporanea italiana. Partendo da questo presupposto, abbiamo qui deciso di inserire in una classificazione a parte gli spettacoli che presentano la sola indicazione di regia (“Il regista e Shakespeare”), individuandoli come differenti, almeno a livello di presentazione al pubblico, rispetto a quelli per cui sono segnalati uno o più autori: pur nella consapevolezza della difficoltà di una distinzione ferrea tra l'elaborazione dello spettacolo e le nuove forme di regia [1], si è ritenuto maggiormente corretto rilevare l'informazione marcata, che riguarda la presenza delle figure distinte (anche se talvolta corrispondenti) di autore, regista, drammaturgo, piuttosto che inferire automaticamente la sovrapposizione di tali ruoli e dunque la presenza di forme accostabili di dialogo con Shakespeare.

Nella sezione “Nuovi autori per un nuovo spettacolo” abbiamo compreso anche due produzioni che presentavano un'indicazione di scrittura, in quanto in entrambi i casi la rivendicazioni di autorialità risulta piuttosto evidente: Amleto (in un altrove luogo), di Paolo Taddei, scritto e diretto dallo stesso, e l'Hamlet Suite di Bene. La dicitura “interpretazione di” non è stata tenuta in considerazione, poiché molto rara e sempre accompagnata a altra indicazione.

Per quanto riguarda i casi di compresenza di più dettagli inerenti la lavorazione di e con Shakespeare, è stata selezionata la categoria che, nel caso specifico, risultava a chi scrive prevalente sulle altre per motivi di maggiore chiarezza nel procedimento creativo seguito; per gli Shakespeare “d'autore” non sono state tenute in considerazione ulteriori indicazioni oltre appunto a quella del riferimento a una presenza seconda. Ciascuna voce della classificazione comprende d'altra parte tutte le informazioni raccolte, e sarà dunque semplice per chiunque la consulti osservare come sempre arbitraria risulti la ricerca di criteri oggettivi all'interno di un contesto di per sé “eccedente” perché caratterizzato dall'«irriducibilità dell'artigianato artistico a regole generali che non contemplino la singolarità anche metodologica di ogni soggetto attivo nel teatro» (C. Meldolesi, R. Molinari, Il lavoro del dramaturg – Nel teatro dei testi con le ruote, p. 173).

La figura del dramaturg

Riferimenti bibliografici

T. Cartelli, Introduction a Repositioning Shakespeare. National formations, postcolonial appropriations , London, Routledge, 1999, pp. 1-23

M.J. Kidnie, Shakespeare and the Problem of Adaptation, Abingdon - New York, Routledge, 2009, in particolare Introduction, pp. 1-10.

D. Lanier, Shakesperean Rhizomatics: Adaptation, Ethics, Value, in Shakespeare and the Ethics of Appropriation, edited by Alexa Huang, Elizabeth Rivlin, New York, Palgrave Macmillan, 2014, pp. 21-40., p.23-24.

R. Meldolesi, C. Molinari, Il lavoro del dramaturg – Nel teatro dei testi con le ruote, Milano, ubulibri, 2007.

O. Ponte di Pino, Il teatro tra rivoluzione e restaurazione. “La scrittura scenica” nell'analisi di Lorenzo Mango, pubblicato su «ateatro» e disponibile online www.trax.it/olivieropdp/mostranew.asp?num=62&ord=38 .



[1] Cfr. la recensione di Oliviero Ponte di Pino a La scrittura scenica di Lorenzo Mango (Il teatro tra rivoluzione e restaurazione. “La scrittura scenica” nell'analisi di Lorenzo Mango, pubblicato su «ateatro» e disponibile
online www.trax.it/olivieropdp/mostranew.asp?num=62&ord=38), dove l'approfondita trattazione dello studioso sull'argomento viene considerata interessante ma poco utile nel districare il nodo centrale; Ponte di Pino porta a esempio proprio la difficoltà nel distinguere le pratiche riconosciute come specifiche della scrittura scenica rispetto a quelle messe in campo dalla cosiddetta “regia critica”.

  • Di: Beatrice Montorfano Referente scientifico: Sara Soncini |
  • DOI: 10.12871/shakespeare01 |
  • Sottoposto a peer-review |
  • Published: 30/09/2016 |
  • Under cc licence CC-By-NC-ND   Open Access