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Questioni linguistiche: tradurre Shakespeare nel teatro contemporaneo italiano

In questa sezione, il tema linguistico verrà analizzato soprattutto sulla base delle scelte effettuate dalla produzione italiana nel momento in cui si confronta con testi tramandati nell'inglese utilizzato da Shakespeare e passati poi attraverso una storia secolare di rappresentazioni, manipolazioni, traduzioni.

Considereremo qui principalmente la traduzione come passaggio da lingua a lingua, pur nella consapevolezza che il termine - in italiano per lo più accompagnato da un aggettivo (“traduzione scenica”, “traduzione teatrale”) - possa essere utilizzato per indicare la trasposizione performativa di un testo; e senza dimenticare il concetto di “traduzione intersemiotica” introdotto da Roman Jakobson proprio per definire il processo di trasformazione della pagina scritta in accadimento teatrale. La riflessione intorno al tema della performability del testo drammatico, alle sue modalità di traduzione, al ruolo professionale del traduttore, è ampia e foriera di un acceso dibattito teorico, che spazia fino a toccare i concetti di universalità e differenza culturale. Qui, ci limiteremo a trattare un caso limitato e legato alla storia teatrale di un singolo Paese; esso potrebbe essere messo a reazione con la discussione critica per confermare una tesi, confutarne un'altra, o - auspicabilmente - aiutare a cogliere sotto una nuova luce il percorso di chi favorisce l'incontro e la contaminazione di mondi diversi affrontandone la differenza non solo dal punto di vista linguistico, ma più ampiamente culturale.

Può risultare fruttuoso uno sguardo condiviso a questa sezione “linguistica” e a quella “Tipologia di adattamento”, con le sue varie declinazioni; lì, pure, la dichiarazione di fedeltà all'originale deve essere costantemente messa a contatto con il movimento spazio-temporale del testo, che approda a una dimensione linguistica, culturale e storica totalmente altra rispetto a quella di partenza.

Si osserverà prima di tutto una tendenza molto decisa nell'utilizzo di traduzioni in italiano, ovvia in un contesto nazionale generalmente poco incline a scegliere una lingua straniera come veicolo di comunicazione. Nel nostro Paese, inoltre, non esiste uno Shakespeare “italiano” ufficiale, riconosciuto e riconoscibile. Nonostante la presenza e le ferme posizioni di alcune figure centrali, come Lombardo e Serpieri, sostenitori di un paradigma duale composto dal testo-fonte, immobile e eterno, e dalla traduzione, caduca e necessariamente immersa nel suo tempo, nessuna tendenza univoca nella pratica della traduzione sembri imporsi o risultare durevole e i percorsi intrapresi da traduttori, registi, drammaturghi risultano molteplici e diversamente motivati (Cfr. Dente - Soncini 2008).

In questo quadro, sono stati individuati due filoni distinti, che, per la complessità d'analisi che richiedono, affronteremo tra poco in modo più dettagliato: quello delle traduzioni pensate ad hoc per la scena ( stage-oriented), e quello dei progetti editoriali finalizzati inizialmente e principalmente alla pubblicazione, e dunque alla lettura ( reader-oriented).

Le altre due categorie emerse come rilevanti a partire da uno sguardo complessivo sul corpus in chiave linguistica riguardano fenomeni quantitativamente più ridotti: Traduzioni di Shakespeare d'autore, che comprende la traduzione in italiano di testi già appartenenti all'afterlife shakespeariana - vale a dire riscritture e nuove drammaturgie precedentemente “canonizzate” - e Oltre l'italiano, con le poche produzioni in inglese, in dialetto o altre lingue straniere.

Nella prima sezione troveremo ad esempio Buonanotte Desdemona (Buongiorno Giulietta), tradotto dall'inglese di Anne Marie McDonald da Monica Capuani e messo in scena da Atir/Dramma Italiano di Fiume con la regia di Serena Sinigaglia (prima 17 maggio 2008); o il Macbett di Eugène Ionesco, tradotto e adattato da Leonardo Gazzola per la regia di Marco Guzzardi e andato in scena al Teatro Litta di Milano (prima 5 maggio 1998).

La seconda esprime scelte e prospettive molto diverse tra loro, che spaziano dal rarissimo mantenimento della lingua inglese ( A Midsummer's Night Dream, rappresentato in matinée scolastiche, dunque con fine didattico-educativo, da Il Palchetto Stage ad Alessandria, 21 febbraio 2000) fino alle versioni dialettali, che troviamo in grande quantità all'interno della produzione teatrale carceraria. Nel caso delle produzioni della Compagnia dei liberi artisti associati del reparto G12 - Alta Sicurezza di Rebibbia, ma non solo, vediamo in atto una vera e propria traduzione ad opera dei detenuti, dal testo shakespeariano verso il napoletano, il calabrese, il siciliano, in alcuni casi senza passare dall'italiano: è un caso di eteroglossia in scena, che talvolta si allarga fino a comprendere molteplici dialetti italiani e lingue straniere, presenti contemporaneamente nella medesima produzione. Accade ad esempio a Regina Coeli, con la Tempesta del 2015 (regia di Caterina Galloni per Artestudio).

Uscendo dal carcere, è inevitabile osservare la netta prevalenza, tra le versioni dialettali, de La Tempesta, sulla base della sua eterogeneità idiomatica e del potenziale espressivo del linguaggio di alcuni personaggi, come Trinculo e Stefano, nonché sul precedente eduardiano. Nel 1998, per il Teatro Biondo Stabile di Palermo e la regia di Cherif, Franco Scaldati traduce il romance in palermitano (prima il 4 aprile 1998), mentre Oggi sposi: Miranda e Ferdinando, di Gioia Corporation, viene sottotitolato come “Singspiel Napoletano”, con riferimento sia alla componente dialettale sia a quella musicale. Il dialetto partenopeo è protagonista anche de La tempesta. Dormiti gallina, dormiti, riscrittura di Silvestro Sentiero per libera mente, in scena con la regia di Davide Iodice presso il Crt Salone di Milano il 3 maggio 1999. Focalizzato sul personaggio di Falstaff è il “laboratorio napoletano” di Mercadante - Teatro Stabile di Napoli (prima 13 ottobre 2007): Mario Martone dirige i testi tradotti in napoletano da Enzo Moscato per il Riccardo II e da tutta la compagnia (“traduzione collettiva”) per Enrico IV e Enrico V. Ci spostiamo più a Sud rispetto alla corte di Napoli, dalla quale i protagonisti dell'opera provengono, per approdare al Salento con La tempesta di Teatridithalia, tradotta in gallipolino da Antonio Belisario (prima il 26 aprile 2005). Il Nord del Paese diventa protagonista esclusivamente con Mario Pirovano u cunta “Romeo e Giulietta”, di Pino Petruzzelli, messo in scena dal Centro Teatro Ipotesi nella traduzione in genovese di Mauro Pirovano, nel 2002.

Un caso particolare è poi Timone d'Atene, coproduzione del 2005 (prima 26 maggio 2005) tra Laboratorio Nove di Sesto Fiorentino, Turkish Theatre di Skopje e National Theatre di Bitola. Diretto dal croato Branko Brezovec, il progetto multiculturale ha coinvolto attori e collaboratori di lingua italiana, turca e macedone che hanno lavorato sui temi dell'avidità, dell'appartenenza europea, del contrasto tra integrazione e esclusione nello spazio del potere politico ed economico; dall'inglese secentesco di Shakespeare si approda all'utilizzo di tre lingue minoritarie, variamente e contemporaneamente presenti in scena.

Arriviamo dunque alle ultime due categorie, le più significative dal punto di vista quantitativo: Traduzioni per la scena e Traduzioni per la stampa. Di queste farebbero parte anche le traduzioni dialettali o in altre lingue di cui sopra, per le quali però si è deciso di segnalare l'elemento maggiormente connotato.

È importante sottolineare che criterio di differenziazione non è per noi la presenza di un'edizione pubblicata, che può essere prodotta a prescindere dal fine principale della traduzione, ma appunto se il testo inglese è stato tradotto espressamente per la scena oppure per la stampa.

Si tratta di una distinzione che assume rilievo particolare nel caso dei testi di Shakespeare, nati per il palcoscenico e sistematizzati per la stampa anni dopo la morte del loro autore; se può risultare significativo tenere in considerazione le circostanze in cui un'opera sottoposta a processo di traduzione è stata prodotta (cfr. Bassnett 1998, pp. 101-102), sarà interessante osservare come tale specifico carattere scenico del corpus shakespeariano sia stato - o meno - recepito nel contesto italiano.

Le traduzioni ad hoc sono, forse inaspettatamente, molto numerose. Dopo la celebre collaborazione Lombardo-Strehler, è un caso più recente e famosissimo di traduzione per la scena quello dell'Amleto ad opera di Cesare Garboli. Invitato a comporla dall'amico e regista Carlo Cecchi, Garboli si dedicò per lungo tempo alla traduzione, la quale debuttò il 30 giugno 1989 al Festival di Spoleto (quindi non è presente nel Patalogo n. 13, dal quale inizia la nostra catalogazione, poiché questo censisce gli spettacoli andati in scena dopo il 1 luglio 1989), per poi essere ripresa da Cecchi nel novembre dello stesso anno al Teatro Niccolini di Firenze. Venne utilizzata anche da Elio De Capitani per Teatridithalia nel 1994 e da Benno Benson a Genova nel 1994, ma è stata resa celebre soprattutto da una successiva produzione con regia di Cecchi, quella andata in scena al Teatro Garibaldi di Palermo nel 1996; fu pubblicata da Einaudi solo nel 2009, dopo la morte dell'autore. Primo capitolo di una trilogia che comprenderà anche Sogno di una notte d'estate e Misura per misura (tradotto ancora da Garboli), l'“Amleto di Garboli”, sottoposto a numerose rielaborazioni tra il 1989 e il 1994, rivela, secondo Cecchi, l'azione «da dramaturg prima che da traduttore» del suo autore, il quale, da subito, «cominciò ad abbozzare, attraverso i tagli, quella che sarebbe stata la struttura della tragedia, secondo un'idea drammaturgica che nasceva dalla profondità del suo rapporto con Amleto e dal suo grande istinto teatrale» (Amleto, nella traduzione di Cesare Garboli, p. VI).

Questa citazione aiuta a introdurre una particolarità del teatro italiano osservata anche durante lo spoglio dei materiali, vale a dire una forte tendenza, in ambito drammaturgico-testuale, alla sovrapposizione dei ruoli. Luigi Lunari, ad esempio, che è anche drammaturgo e autore teatrale, è indicato alcune volte come traduttore e responsabile dell'adattamento (ad esempio nel caso di Cattivi e cattivissimi nel teatro di Shakespeare, in scena il 28 luglio del 2005, o de La dodicesima notte, prima 26 luglio 1991), altre solo come traduttore (Molto rumore per nulla del Teatro Carcano, prima 22 luglio 1994). Di questi testi, nessuno è stato pubblicato, se si esclude il Re Lear per Giorgio Strehler, tradotto con Angelo Dallagiacoma e escluso da questa catalogazione in quanto risalente al 1973.

Degne di nota risultano anche le traduzioni di registi e attori, in grado di lavorare in forma non mediata sul testo modellandolo in base alle proprie esigenze. Lenz Rifrazioni, che presenta un complesso progetto shakespeariano già tra 1997 e 1998, nel novembre di quest'ultimo anno mette in scena Richard II o L'unto del Signore, di cui Francesco Pititto cura sia drammaturgia sia traduzione; seguiranno, a breve distanza, gli Esercizi sulla prima stesura dell'Amleto, con identica attribuzione per Pititto, che, per la medesima compagnia, svolge spesso anche ruoli professionali diversi. Caso particolare è quello di Emanuele Giglio, che cura traduzione e regia (oltre a essere sempre interprete) diRiccardo III (prima il 13 aprile 1996), studi da Riccardo III, (in scena tra novembre 1997 e ottobre 1998), un nuovo allestimento della stessa tragedia, nel 1999, Macbeth (prima il 21 gennaio 2000) e Antonio e Cleopatra (prima il 27 giugno 2001).

Tra chi lavora a stretto contatto con la scena, troviamo un traduttore come Angelo Dallagiacoma, che, come anticipato, affronta Shakespeare a partire dalla traduzione di Re Lear per Giorgio Strehler e Amleto per Maurizio Scaparro, e in seguito intraprende una lunga esperienza lavorativa con Marco Bernardi. Questi, quando nel 1980 assume la direzione artistica del Teatro Stabile di Bolzano, mette in scena Romeo e Giulietta, a cui fanno seguito Pene d'amore perdute, Sogno di una notte di mezza estate (tutti successivamente pubblicati) e, riportati nella nostra catalogazione, Le allegre comari di Windsor (10 novembre 1999; molto interessante la scheda pubblicata su www.apriteilsipario.it, con interventi di traduttore e regista) e Enrico IV (3 novembre 2005). Le sue traduzioni sono state utilizzate anche da registi di fama come Lavia, che per Otello (Teatro de gli Incamminati, 27 gennaio 1995) sceglie la stessa traduzione di Dallagiacoma approntata vent'anni prima per la sua prima regia, Syxty ( La guerra delle due rose ovvero: Enrico VI da W.S., Centro Servizi e Spettacoli di Udine, dicembre 1997 – aprile 1998), De Berardinis ( Lear Opera, Teatro di Leo, con parziale traduzione di Agostino Lombardo, 21 aprile 1998). Da segnalare che l'Enrico IV e l' Enrico VI tradotti (parzialmente per il primo) da Dallagiacoma erano già stati pubblicati tra i Grandi Classici Mondadori all'epoca delle produzioni segnalate (rispettivamente nel 1991 e nel 1994).

Diverse altre traduzioni, che hanno come autori professionisti del mondo accademico, rientrano all'interno di importanti progetti editoriali, e sono pensate per la pubblicazione a stampa e la lettura. All'interno di queste stesse serie, però, trovano spazio anche traduzioni ideate in vista di singole produzioni teatrali, in sinergia con la scena; è il caso del Tito Andronico di Agostino Lombardo, adattato e diretto da Peter Stein per un progetto del Centro Teatro Ateneo dell'Università di Roma “La Sapienza”, prodotto dal Teatro di Genova nel 1989, poi pubblicato dalla casa editrice del Teatro di Genova nello stesso anno, e da Feltrinelli nel 1999.

Talvolta, specialisti altrove occupati con progetti editoriali danno vita a traduzioni che non vedranno mai la stampa, come il Romeo e Giulietta di Masolino d'Amico per la regia di Maurizio Scaparro (prima 27 luglio 2000).

Capita inoltre che i registi scelgano di utilizzare traduzioni già pubblicate, come nel caso del Romeo e Giulietta del Teatro Stabile di Parma, con regia di Walter Le Moli (prima 12 marzo 1998), che vede in scena la traduzione di Paola Ojetti, defunta nel 1978: caso raro di donna traduttrice di Shakespeare nel corso del '900, autrice della versione italiana di tutte le opere per Rizzoli. Anche Teatro del Carretto, per la regia di Maria Grazia Cipriani, opta per il Sogno di una notte di mezza estate (prima 2 gennaio 1991) di Cesare Vico Lodovici, la cui pubblicazione integrale di Shakespeare per Einaudi è completata nel 1964. Per arrivare a traduzioni più recenti, il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia utilizza quella di Hamlet di Agostino Lombardo, uscita per Feltrinelli nel 1995, per la produzione con regia di Antonio Calenda (prima 10 dicembre 1998).

La propensione per traduzioni precedentemente pubblicate non deve essere d'altra parte automaticamente letta come una scelta conservativa e “letteraria”, ma può dare origine a progetti molto innovativi anche dal punto di vista del linguaggio, come quello dell'Amleto della Compagnia Lombardi-Tiezzi (prima 5 dicembre 2002). Federico Tiezzi, utilizzando per la produzione le traduzioni di Gerardo Guerrieri, Michele Leoni, Mario Luzi e Alessandro Serpieri, attribuisce chiari significati a ciascuna di esse, non necessariamente lavorando solo con il paradigma duale arcaizzazione/attualizzazione, ma dando concretezza scenica alla distanza storica e temporale del testo shakespeariano, dei suoi personaggi e delle sue situazioni [1].

Esistono poi alcune, rare, traduzioni d'autore, come quelle di Eugenio Montale. Il suo Amleto era stato prodotto per l'attore Romano Cialente nel 1943, successivamente stampato nel 1949 da Vallecchi/Cederna (e incluso da Melchiori nell'edizione di Shakespeare per i “Meridiani” Mondadori, 1976-1991); è stato scelto da Carlo Formigoni nella sua produzione per Teatro Kismet/O.perA. (prima 27 ottobre 1989) e per una riedizione della stessa di pochi anni più tardi (3 dicembre 1993). Montale si era poi cimentato nelle traduzioni di The Comedy of Errors, Timon of Athens e The Winter's Tale, pubblicate nell'edizione di Tutte le opere di Shakespeare a cura di Mario Praz (Sansoni, 1964); solo una delle produzioni censite si è avvalsa della sua Commedia degli errori, quella di Teatro dell'Arca diretta da Antonio Syxty (prima 27 dicembre 1992), mentre non si sono registrati, negli anni in esame, casi di messa in scena delle altre due opere.

Risulta in definitiva particolarmente significativa, e abbiamo qui voluto metterla in evidenza, la presenza di numerose traduzioni per la scena; ciò può trovare spiegazione nella propensione registica del teatro italiano e nello sviluppo della scrittura scenica, elementi che hanno determinato lo stabilirsi di un metodo di lavoro integrato e finalizzato alla performance, anche laddove si sviluppi un progetto fortemente connesso alla presenza di un testo scritto come quello shakespeariano.

D'altra parte, se questo processo nasceva per mettere in discussione il testocentrismo e rivendicare un distaccamento dal dogmatismo autoriale della pagina scritta, quello che si è prodotto è spesso una ridefinizione dei ruoli che ha sfumato i confini del lavoro concreto sulla dimensione verbale del testo teatrale al punto da depotenziare le professionalità interessate più puntualmente ad esso e da renderle secondarie, spesso non necessarie, sostituibili e sostituite da altri protagonisti dell'impresa teatrale. (Cfr. Dramaturg) In Italia, in particolare, dove anche la figura del dramaturg non ha mai raggiunto gli onori delle cronache, capita talvolta che, come abbiamo visto, la traduzione venga effettuata direttamente dal regista, o, soprattutto, che il responsabile della traduzione non venga considerato degno di nota: su 670 spettacoli censiti (esclusi quelli in carcere, tranne per il Macbeth e il primo Amleto della Compagnia della Fortezza), solo di 218 viene indicata la traduzione come voce nella catalogazione del Patalogo. Nel nostro caso, risulta dunque del tutto legittimo l'interrogativo posto dai curatori nell'introdurre la raccolta di saggi Theatre Translation in Performance (2013): «(...) what might be the fate of competent theatre translators and the worldwide circulation of drama?» (p. 12); e, tranne in alcuni casi, applicabile anche al contesto italiano l'amara constatazione di Carole-Ann Upton in Moving Target. Theatre Translation and Cultural Relocation (2000): «And yet, the theatre translator has rarely been acknowledged as a creative figure integral to the process of production» (p. 9).


Riferimenti bibliografici

S. Bassnett, Translation Studies, London, Methuen, (1980) 2013.

S. Bassnett, Still Trapped in the Labyrinth: Further Reflections on Translation and Theatre in S. Bassnett, A. Lefevere (a cura di), Constructing culture: essays on literary translation. Clevedon, Multilingual Matters, 1998, pp. 90-108.

S. Bigliazzi, P. Kofler, P. Ambrosi (a cura di), Theatre Translation in Performance, New York and London, Routledge, 2013.

R. Carvalho Homem, T. Hoenselaars (a cura di), Translating Shakespeare for the Twenty-First Century, Amsterdam, Rodopi, 2004.

C. Dente S. Soncini (a cura di), Crossing Time and S pace: Shakespeare Translations in Present-day Europe , Pisa, Plus/Pisa University Press, 2008.

S. Soncini, Intersemiotic Complexities: Translating The Word Of Drama, in M. Bertuccelli Papi, G. Cappelli, S. Masi (a cura di), Lexical Complexity: Theoretical Assessment and Translational Perspectives ,, Pisa, Plus, 2007, pp. 271-8.

C.A. Upton, Moving Target. Theatre Translation and Cultural Relocation, Manchester, St. Jerome, 2000.

http://www.apriteilsipario.it/archivio/panoramica99-00/schede/sch246.htm (Scheda Le allegre comari di Windsor, Teatro Stabile di Bolzano, regia di Marco Bernardi, traduzione di Angelo Dallagiacoma)

https://www.kinoweb.it/teatro/tito_andronico/tito_andronico.html (Scheda Tito Andronico, Centro Teatro Ateneo - Teatro di Genova, regia e adattamento di Peter Stein, traduzione di Agostino Lombardo)



[1] Il riferimento per questa sintesi sulle diverse tipologie di traduzione e sul rapporto con la scena è a S. Soncini, «The Very Age And Body Of The Time»: l' ”Amleto” di Federico Tiezzi e i problemi della traduzione diacronica, in «Anglistica pisana», III, 1, 2006, pp. 107-125; il saggio è pubblicato anche in inglese (Diachronic translation in Tiezzi's Hamlet) in Crossing Time and Space. Shakespeare Translations in Present-day Europe, a cura di C. Dente, S. Soncini, Pisa, Plus, 2008., pp. 63-76.

  • Di: Beatrice Montorfano Referente scientifico: Sara Soncini |
  • DOI: 10.12871/shakespeare01 |
  • Sottoposto a peer-review |
  • Published: 30/09/2016 |
  • Under cc licence CC-By-NC-ND   Open Access